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Grande roby! Con le nuove ruote salirai ancora Piu forte!! Braoooo

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non sono le salite del VCO ma la nostra seconda uscita madonnadei Ciclisti Brinzio

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Ma grande Sconsi e DAni!

alle 2 alp arrivate preparatissimi!ù anche betty ha cominciato.... davanti il Morfy che taglia l aria..

ole
mark

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no ! è che con la sua panzetta copre bene dall'aria!!!!!!!
cacchius se continua così bisognerà rispolverare la bici e ricominciare!!!!!!!!!
voi continuate a scrivere che a me sta tornando la voglia!

ciao e buone pedalate a tutti!!!

Marcello

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POLEMICHE SULLA SICUREZZA: NEL ' 91 UNO SCIOPERO ANTI COPRICAPO DEI CICLISTI

"Caschi obbligatori " . Moser: " Si sarebbe salvato "

"E adesso non mi vengano a dire che il casco non serve: non si e' sicuri al cento per cento, ma ci sono grandi possibilita' che in caso di incidenti il ciclista possa salvare la vita. E io sono convinto che Casartelli, se avesse avuto una protezione alla testa, non sarebbe morto": durissima la prima reazione di Antonio Dal Monte, direttore dell' Istituto di Scienza dello sport. Nonostante le dichiarazioni del medico del Tour, tendenti ad avvalorare la tesi di un impatto facciale come causa prima della morte di Casartelli, e' subito polemica tra gli esperti di ciclismo e non.
Uno di questi e' proprio Antonio Dal Monte, il quale, dopo aver lanciato la durissima accusa al mondo del ciclismo professionistico, ricorda la "battaglia persa" quando cerco' di rendere obbligatorio l'uso del casco, cosi' come avviene per i dilettanti e per tutte le categorie minori del ciclismo. "Sono amareggiato e sconfitto" ha aggiunto Dal Monte "in quanto ho fatto di tutto affinche' anche i professionisti del ciclismo usassero il casco. Purtroppo non e' stato possibile: contro la proposta proclamarono perfino uno sciopero".
Accadde nel marzo 1991, durante la Parigi Nizza: i corridori si rifiutarono di correre per protestare contro la decisione dell' Uci, la federazione internazionale, che imponeva l'obbligatorieta' dell' uso del casco a calotta rigida. "Problemi di aerazione alla testa e di riconoscibilita' " sostennero i corridori, aggiungendo che gli appassionati, non potendo vedere in faccia i loro beniamini, avrebbero disertato le corse, il che avrebbe allontanato l'interesse degli sponsor dalle gare ciclistiche. La querelle duro' tutta l' estate, sino a quando l' Uci ritiro' la delibera dell'obbligatorieta', passando alla "semplice raccomandazione" sull' uso della protezione.
La Federciclistica italiana e altre federazioni si adeguarono alla diversa normativa: nel solo Belgio esiste l' obbligatorieta' anche per i professionisti. A questo proposito e' intervenuta la Societa' Italiana di Neurochirurgia: il direttore, professor Franco Chiappetta, sostiene l' "indispensabilita' nel ciclismo, cosi' come e' per il motociclismo, di rendere obbligatorio il casco specialmente nelle corse di montagna dove ci sono discese e salite pericolosissime. Se Casartelli avesse avuto il casco probabilmente si sarebbe salvato. E' ben visibile a tutti infatti che da quando il casco e' obbligatorio per le moto, gli incidenti mortali con questo mezzo sono nettamente diminuiti". "Forse, se avesse avuto il casco, Casartelli avrebbe potuto salvarsi" spiega Francesco Moser. "Ho visto la caduta in Tv, la pozza di sangue: tutto faceva presagire che si trattasse di un incidente dei piu' seri. Bisognerebbe che almeno nelle discese pericolose tutti usassero la protezione alla testa".
"E' un argomento che torna di drammatica attualita' " sostiene Alfredo Martini, c.t. della nazionale di ciclismo. "Non me la sento di schierarmi a favore o contro. Per vent' anni ho corso senza casco. Oggi pero' ci sono materiali talmente leggeri da poter realizzare caschi non fastidiosi ai corridori. E' ora che l'argomento sicurezza venga affrontato in maniera seria. Si', il ciclismo puo' essere pericoloso; e' uno sport, non un gioco. Il rischio e' specialmente in discesa, dove il corridore azzarda per staccare gli avversari".
Dello stesso parere e' Giosue' Zenoni, ex c.t. dei dilettanti (guido' Casartelli all' oro di Barcellona, che ricorda il caso di una recente caduta di Mauro Gianetti: "Avreste dovuto vedere com'era ridotto il suo casco per capire che, senza quello, il corridore si sarebbe rotto la testa". Fatalita' e' invece la parola che usa Raymond Poulidor, l'eterno secondo dei Tour de France degli anni Sessanta e Settanta, il grande battuto da Gimondi nel '65: "Nel '72 caddi anch' io proprio in quella curva. Fui molto fortunato: andai a sbattere la testa a terra, finii in un dirupo e mi salvai".
Per disposizione del Coni, domenica verra' osservato un minuto di silenzio in tutte le sedi sportive di manifestazioni agonistiche.

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