Come nasce la neve
Per comprendere perché i cristalli di neve si presentano in una infinita varietà di forme occorre conoscere alcune caratteristiche dell'acqua partendo innanzi tutto dalla composizione della molecola e facendo quindi ricorso ad alcune nozioni di fisica dell'atomo. L'atomo é la particella elementare di ogni elemento chimico e nella suo concezione più elementare, é composto da un nucleo centrale formato do particelle dette protoni con corica elettrica positiva ed eventuali oltre particelle prive di corico elettrica e perciò dette neutroni. Intorno al nucleo centrale orbitano altre particelle, molto più piccole, con corico elettrica negativa dette elettroni. Il numero degli elettroni é eguale o quello dei protoni, sicché le cariche elettriche si compensano e l'atomo é elettricamente neutro. Gli elettroni non possono orbitare casualmente intorno al nucleo centrale, ma sono organizzati secondo rigide regole: come i velivoli in cielo debbono rispettare determinati corridoi di volo (quota e direzione) e non più di un certo numero di velivoli può impegnare un determinato corridoio aereo, così gli elettroni rispettano determinati orbitali che li pongono a quote e rotte diverse intorno al nucleo.
Un primo strato può ospitare al massimo solo due elettroni, un secondo strato ne può ospitare otto un terzo diciotto, e così via; pensiamo ad una cipolla per avere un'idea di come gli strati di orbitali avvolgono il nucleo.
La molecola di H2O
L'acqua é una sostanza dalle caratteristiche straordinarie, l'unica sostanza sullo Terra capace di essere presente nello stesso luogo in tutti e tre gli stati di aggregazione molecolare (solido - liquido - gassoso) entro una gamma abbastanza estesa di valori di temperatura e pressione. Una molecola d'acqua é composta da due gas, combinati insieme nelle proporzioni di un atomo di Ossigeno e due di Idrogeno e, con notazione scientifica, viene identificata con la formula H2O. Cominciamo con lo studio dell'atomo di idrogeno: é il primo elemento del sistema periodico, il più semplice essendo costituito da un nucleo, formato da un solo protone, intorno al quale orbita un solo elettrone. L'Ossigeno invece occupa l'ottavo posto del sistema periodico ed ha un nucleo composto da 8 protoni ed 8 neutroni. La distribuzione degli elettroni intorno al nucleo risponde alle precise regole già accennate: due elettroni ruotano in un primo strato, prossimo al nucleo, altri sei in uno strato più esterno. Le immagini cercano di rappresentare schematicamente i due atomi, ma si tenga presente che la realtà é ben diverso dalla rappresentazione grafica se non altro per il fatto che l'immagine é disegnato sul piano mentre l'atomo si sviluppo nello spazio. A rendere più complesse le cose si deve aggiungere che entrambi i gas hanno due isotopi, cioè esistono degli atomi di idrogeno il cui nucleo comprende non solo un protone, ma anche uno o due neutroni. Egualmente esistono degli atomi di ossigeno che, nel nucleo, comprendono otto protoni e nove o dieci neutroni; in tutti i casi la carica elettrica del nucleo non cambia, ma la massa dell'atomo é aumentata. L'acqua che nella sua molecola contiene atomi di Deuterio (idrogeno con un neutrone nel nucleo) é detta acqua pesante ed é utilizzata nei laboratori di fisica atomica; per quanto piuttosto rara in natura, é relativamente abbondante in alcuni laghi alpini o del nord Europa (durante l'ultima guerra i tedeschi invasero la Norvegia per aver la possibilità di estrarre acqua pesante dai numerosi laghi di questo paese). Gli isotopi dell'idrogeno prendono i seguenti nomi:
Idrogeno 1H 0,76 % in peso della crosta terrestre
Deuterio 2 H circo un atomo ogni 6000 di idrogeno
Trizio 3 H estrema mente raro
Gli isotopi dell'ossigeno sono:
Ossigeno 16O 48,60% della crosta terrestre
Ossigeno 17Opiuttosto raro in natura
Ossigeno 18O piuttosto raro in natura
Il numerino in alto o sinistra del simbolo chimico indica quanti nucleoni (protoni e neutroni componenti il nucleo) sono presenti nell'atomo. Combinando insieme tutti gli isotopi dell'ossigeno e dell'idrogeno per formare uno molecola d'acqua ci si accorge che si possono ottenere ben 18 diverse molecole simili nello formula chimico, ma diverse per mossa ed altre proprietà. Osservando il secondo strato di elettroni dell'atomo dell'ossigeno, si può notare che contiene sei elettroni, contro gli otto che potrebbero esservi ospitati; egualmente l'idrogeno ha un solo elettrone, mentre il primo strato ne può contenere due Lo strato esterno di questi atomi potrebbe accettare ancora elettroni la patto di rispettare le condizioni di equilibrio elettrico di tutto l'atomo). Ciò si può verificare o trasformando la materia les: fusione dell'idrogeno per formare un atomo di Elio = bomba H) oppure combinando insieme più atomi i cui strati di elettroni esterni si integrino a vicenda, come nel caso dell'acqua, in cui ogni elettrone dei due atomi di idrogeno può orbitare intorno al nucleo integrandosi can quelli dell'ossigeno. Come si può notare nell'immagine, i due atomi di idrogeno si sono sistemati o loto dell'atomo di ossigeno in modo asimmetrico, infatti sono disposti secondo un angolo di 105° e, a titolo di curiosità aggiungeremo che il nucleo dell'O dista dal nucleo dall'idrogeno 0,9 Angstróm (un Angstrom = 0,00000001 cm, ovvero un centomilionesimo di centimetro
Questa struttura dell atomo organizza le cariche elettriche in modo tale che la carica positivo dei protoni Idrogeno si trova spostata verso un lato della molecola, mentre le cariche negative dello nube di elettroni sono verso il lato opposto questo sistemazione delle particelle atomiche posto in evidenza dai segni positivo e negativo dell'immagine, fa sì che la molecola si comporti come un dipolo Per quanto si sia ben lontani dai conoscere con esattezza la collocazione degli atomi nella molecola dell'acqua, si ho la convinzione che la disposizione delle cariche elettriche rispetti quanto detto sopra. La conseguenza é che quando più molecole di H20 solidificano, le forze di attrazione-repulsione delle cariche elettriche debbono essere rispettate e l'unico modo in cui le molecole possono organizzarsi é quello di disporsi secondo lo schema di cristallizzazione del sistema esagonale, come illustra la figura che, ancora una volta, si limita a schematizzare un piano un solido che si sviluppa nello spazio lungo i tre assi. Volendo rappresentare nello spazio la disposizione degli atomi di H20 si deve immaginare un tetraedro in cui il centro ed i quattro vertici siano occupati da una molecola d'acqua.
I CRISTALLI DI NEVE
La forma finale di un cristallo di neve nell'atmosfera dipende da una serie di complesse condizioni che si verificano sulla superficie del cristallo o vicina ad essa; la temperatura è però la variabile più importante. In genere l'evoluzione avviene in due direzioni : sul piano di base del cristallo di ghiaccio o perpendicolarmente ad esso.
I cristalli di ghiaccio hanno tre assi sul piano di base (assi a) separati di 120°, e un asse perpendicolare al piano di base (asse c)
Nel piano di base vi è simmetria esagonale, e il calore fluisce in modo meno efficace sul piano di base che non lungo l'asse c. Lungo quest'asse non vi è alcuna simmetria esagonale. I cristalli a forma piatta si formano in seguito all'evoluzione lungo l'asse a, mentre i cristalli aghiformi si formano seguendo la direzione dell'asse c.
Indifferentemente dalla direzione di crescita, i cristalli di neve che si formano dal vapore hanno sei lati, a causa dell'influenza del piano di base.
La velocità di crescita è un altro importante fattore nel determinare la forma del cristallo. Tuttavia, è la densità del vapore in eccesso (vicino alla superficie dei cristalli) che determina la forma, assieme alla temperatura.
La figura mostra come la direzione di crescita (assi a e c) varia per generare le forme di base dei cristalli in funzione della temperatura e con condizioni atmosferiche tipiche.
In presenza di una bassa densità di vapore in eccesso, i cristalli hanno essenzialmente la forma di colonne, qualunque sia la temperatura. Con alte velocità di crescita (per es. maggiori densità di vapore in eccesso) la crescita avviene su bordi e angoli fino a generare cristalli di forma più complessa, come le dendriti.
In presenza di queste superiori velocità di crescita, le forme complesse risultanti sono dovute al trasferimento di molecole di vapore acqueo sulla superficie del cristallo. In genere le molecole tendono a depositarsi in punti in cui la densità del vapore in eccesso è ai massimi livelli, come bordi e angoli.
Ancora oggi non si riescono a comprendere del tutto i processi superficiali attraverso i quali la direzione di crescita passa dall'asse a all'asse c al variare della temperatura
La figura mostra chiaramente che la temperatura è la principale variabile che determina la forma del cristallo nell'atmosfera, seguita dal grado di supersaturazione (velocità di crescita).
Alcuni dei cristalli dalle forme complesse che raggiungono la terra si formano a causa dei diversi regimi di temperatura e densità di vapore acqueo che trovano durante il loro passaggio nell'atmosfera. Per esempio nell'aria fredda si può formare una colonna piena, mentre durante il passaggio a un regime di temperature più calde si può avere la formazione di strutture piatte sui bordi della particella, in modo da generare una colonna a forma di "capitello".
La velocità con cui un cristallo incrementa la sua massa determina la dimensione, che a sua volta dipende dalla temperatura. In generale, i cristalli che passano attraverso un'atmosfera fredda sono più piccoli di quelli passati attraverso un'atmosfera più calda.
Questo è dovuto al fatto che i processi termodinamici che regolano la crescita si verificano più rapidamente in presenza di temperature più calde, e inoltre l'aria calda in teoria può contenere più umidità dell'aria fredda. Gli studiosi di valanghe più esperti sono soliti osservare molto attentamente i cristalli di neve caduti sul terreno. Lo studio dei cristalli fornisce infatti precise indicazioni riguardo alle condizioni dell'atmosfera dalla quale provengono.
Eventuali variazioni dei tipi di cristallo durante forti nevicate, compresi cambiamenti nel processo di brinata, possono creare condizioni tali per cui uno strato di neve non si lega bene con quelli contigui: questo può essere importante ai lini della previsione della stabilità del manto nevoso. Può succedere ad esempio che strati di neve pallottolare non si leghino bene con gli strati contigui, creando così condizioni di instabilità del manto nevoso.
Infatti è stato da più parti suggerito che il processo di brinata possa essere indirettamente legato alla formazione di valanghe, compreso il tipo di valanga e il grado d'instabilità. Tuttavia questo può essere considerato al massimo un effetto di secondo o terz'ordine che occorre integrare con altri più importanti fattori ai fini di valutare la stabilità del manto.
Va detto inoltre che il processo di rottura delle ramificazioni dei cristalli a causa del trasporto della neve è solitamente più importante della brinata ai fini della formazione di valanghe. Assieme, gli effetti della forma dei cristalli, della brinata e della fratturazione dei cristalli possono comunque contribuire all'instabilità del manto nevoso fresco e ostacolarne il processo di agglomerazione con gli strati più vecchi.
Tuttavia, considerata l'elevata combinazione di variabili che possono creare neve instabile, non esistono formule semplici. Lo studioso del manto nevoso deve quindi concentrarsi sugli effetti integrati di queste variabili e la loro relazione con i meccanismi di formazione delle valanghe, piuttosto che esaminare, uno per volta, ciascuno di questi fattori secondari
CLASSIFICAZIONE DEI CRISTALLI DI NEVE FRESCA
A seconda del grado di specializzazione richiesto, vi sono tre livelli di classificazione dei cristalli di neve fresca. Il metodo più semplice e più comunemente utilizzato consiste nel raggruppare in una sola categoria tutti i cristalli di neve caduta da poco, accludendo una nota relativamente al grado di brinata. Nella maggior parte dei Paesi, il simbolo + viene normalmente utilizzato per designare la neve fresca, mentre +r sta ad indicare la neve fresca brinata. Per designare la neve interamente brinata, cioè la neve pallottolare, viene inoltre usato, sempre a livello internazionale, il simbolo A.
Il sistema di classificazione più avanzato è quello adottato dall'International Commission on Snow and Ice (Commissione Internazionale Neve e Ghiaccio, ICSI), riportato nella tabella. Questa classificazione raccoglie cinque tipi di cristalli facilmente identificabili, assieme a un gruppo di cristalli irregolari e due altre classi che comprendono grandine e sferette di ghiaccio. Questo sistema non viene utilizzato dagli esperti di valanghe con la stessa frequenza del più semplice sistema dei tre gruppi. Il motivo sta nel fatto che queste diverse forme di cristalli di neve fresca sono un fattore secondario per la valutazione della stabilità del manto nevoso. Nell'ambito dello studio delle valanghe la neve solitamente viene analizzata dopo che si è depositata e quindi il manto nevoso presenta una grande varietà di cristalli mischiati tra loro, rendendo difficile il lavoro di previsione di valanghe.
Il sistema di classificazione ICSI è probabilmente il sistema più avanzato utilizzato per gli studi sulle valanghe.
Un altro sistema di classificazione ancora più complesso, che comprende 80 categorie (compresi i cristalli brinati) venne proposto nel 1966 da Magono e Lee .Gli esperti di valanghe dovrebbero tener conto dell'esistenza di questo sistema anche se, quando si tratta di analizzare la stabilità del manto nevoso, è meglio concentrarsi sui fattori principali che non su quelli secondari nel lavoro d'identificazione di nuovi tipi di cristalli. Nel classificare i cristalli di neve occorre fare molta attenzione al momento di individuare la forma predominante dei cristalli in un campione: è infatti facile essere confusi da uno o due cristalli che sono facilmente identificabili invece che individuare la forma più comune.
Per le normali osservazioni si raccomanda l'uso di una lente tascabile con ingrandimento da 8x a 10x. Con un maggiore ingrandimento, il campo visivo si restringe e si tende a concentrare l'attenzione sui particolari dei singoli cristalli, invece di visionare il campione nel suo insieme per stabilire la forma più comune. Nell'ambito di un lavoro scientifico vengono talvolta utilizzate lenti di maggiore potenza e anche microscopi.
- Cristalli prismatici corti,pieni o cavi Crescita con alta supersaturazione da -3° a -8°C e sotto -22°C
- Aghiformi quasi cilindrici Crescita con alta supersaturazione da -3° a -5°C
- a forma di piastre perlopiù esagonali Crescita con alta supersaturazione da -0° a -3° e da -8° a -25°C
- Esagonali, a forma di stella, piani o spaziali Crescita con alta supersaturazione da -12° a -16°C
- Grappoli di cristalli molto piccoli Formazione di policristalli in condizioni ambientali variabili
- Particelle molto brinate (neve pallottolare) Forte brinata delle particelle per adesione di acqua sopraffusa
- Grandine, struttura interna laminare, superficie traslucida,color latte o vetrata Crescita per adesione di acqua sopraffusa
- Sferette di ghiaccio, sferoidi trasparenti perlopiù di piccole dimensioni Pioggia ghiacciata
FORMAZIONE ED EVOLUZIONE DELLA NEVE NELL'ATMOSFERA E ALL'INTERNO DEL MANTO NEVOSO
FORMAZIONE ED EVOLUZIONE DEI CRISTALLI DI NEVE NELL'ATMOSFERA
Gran parte delle valanghe, una percentuale superiore al 90% in alcuni tipi di clima, si verifica in seguito alla caduta di neve fresca. A volte le valanghe sono provocate da variazioni del tipo di neve fresca, variazioni che i ricercatori sono sempre pronti a cogliere. La vita di un cristallo di neve ha inizio all'interno delle nubi. Queste sono composte da gocce che si formano in seguito alla supersaturazione dell'aria con vapore acqueo. Queste goccioline si condensano in piccole particelle chiamate nuclei di condensazione (sale, polvere o terra). Esse sono molto piccole, con un diametro di 1 micron e sempre molto numerose. La loro formazione avviene attraverso la condensazione di vapore acqueo sulla loro stessa superficie quando l'aria è satura rispetto alla goccia . In questo caso, se la temperatura dell'aria è al di sotto di 0°C, è possibile che si formi neve da minuscoli cristalli di ghiaccio. A queste temperature, le goccioline d'acqua conservano la loro forma in uno stato surraffreddato. Generalmente queste goccioline hanno un diametro di circa 20 micron e presentano concentrazioni di diverse centinaia per centimetro cubo. Per la formazione di un piccolo cristallo di ghiaccio per congelamento servono anche particelle estranee attorno alle quali il ghiaccio si può cristallizzare. Tuttavia questi nuclei di cristallo di ghiaccio (nuclei di congelamento) sono molto meno comuni dei nuclei di condensazione necessari per formare le goccioline d'acqua.
Le tipiche dimensioni dei nuclei di congelamento sono le stesse dei nuclei di condensazione, anche se i primi hanno una particolare caratteristica che provoca il congelamento. Non tutte le particelle di piccole dimensioni (compresi polvere, terra e varie particelle chimiche) sono adatte a formare nuclei di congelamento, in quanto queste devono avere la giusta struttura molecolare. Inoltre i nuclei di congelamento sono diversi in funzione della temperatura alla quale avviene il processo di congelamento. Il numero dei nuclei di congelamento "attivi>> aumenta con il diminuire della temperatura dell'aria. Alla temperatura di -10°C abbiamo circa 10 nuclei attivi per ogni centimetro cubo.
Mano a mano che la temperatura all'interno della nube diminuisce, diventa molto più facile la formazione per congelamento dei cristalli di ghiaccio. il cui numero cresce rispetto al numero delle gocce Alla temperatura di -40°C le goccioline d'acqua congelano da sole senza l'aiuto dei nuclei di congelamento.
Una volta che si è formato un piccolo cristallo di ghiaccio, la sua successiva evoluzione è determinata da due processi .
Il processo che stabilisce la forma di base del cristallo avviene per trasferimento diretto delle molecole di vapore acqueo dalle gocce d'acqua surraffreddate all'interno della nube. E stato provato in via sperimentale e teorica che la tensione di vapore su una goccia d'acqua è più elevata che non su un cristallo di ghiaccio, a una certa temperatura.
A causa della più elevata pressione sulla goccia, le molecole di vapore acqueo si propagano verso i cristalli di ghiaccio vicini e si condensano sul cristallo di ghiaccio. I cristalli si formano così a spese delle gocce surraffreddate, a causa delle differenze di tensione di vapore tra gocce d'acqua e cristalli di ghiaccio.
Il secondo meccanismo di formazione si ha quando i cristalli si spostano nell'atmosfera Una volta raggiunta una sufficiente dimensione I cristalli di ghiaccio cadono e aumentano la loro massa entrando in collisione con alcune delle gocce raffreddate più grandi, che successivamente si trasformano in cristalli in un secondo processo chiamato "brinata". Si tratta dello stesso processo che provoca la formazione di ghiaccio sulle ali di un aereo che muove le goccioline surraffreddate nell'atmosfera. Quando un cristallo è brinato di solito cade più velocemente perché più pesante, nonostante la resistenza di caduta nell'aria. Al contrario, l'evoluzione da vapore generalmente accresce la resistenza all'aria attraverso la formazione di ramificazioni. A volte queste vengono interamente ricoperte di brina fino a formare un cristallo di forma arrotondata (neve pallottolare) all'interno del quale il cristallo originale è solitamente irriconoscibile. questo richiede una lunga fase di evoluzione che avviene con il passaggio attraverso nubi spesse o da ripetuti passaggi su e giù nelle correnti d'aria di convezione termica nelle nubi, che prolungano il processo di brinata. Le particelle di neve pallottolare possono anche formare grandine nel caso in cui si spostino verso l'alto dando vita a cicli di rigelo-fusione. La forma finale di un cristallo di neve nell'atmosfera dipende da una serie di complesse condizioni che si verificano sulla superficie del cristallo o vicino ad essa; la temperatura è però la variabile più importante. In genere l'evoluzione avviene in due direzioni: sul piano di base del cristallo di ghiaccio o perpendicolarmente ad esso.
Gli studiosi di valanghe più esperti sono soliti osservare molto attentamente i cristalli di neve caduti sul terreno. Lo studio dei cristalli fornisce infatti precise indicazioni riguardo alle condizioni dell'atmosfera dalla quale provengono. Eventuali variazioni dei tipi di cristallo durante forti nevicate, compresi cambiamenti nel processo di brinata, possono creare condizioni tali per cui uno strato di neve non si lega bene con quelli contigui: questo può essere importante ai fini della previsione della stabilità del manto nevoso. Può succedere ad esempio che strati di neve pallottolare non si leghino bene con gli strati contigui, creando così condizioni di instabilità del manto nevoso. Infatti è stato da più parti suggerito che il processo di brinata possa essere indirettamente legato alla formazione di valanghe, compreso il tipo di valanga e il grado d'instabilità. Tuttavia questo può essere considerato al massimo un effetto di secondo o terz'ordine che occorre integrare con altri più importanti fattori ai fini di valutare la stabilità del manto Va detto inoltre che il processo di rottura delle ramificazioni dei cristalli a causa del trasporto della neve è solitamente più importante della brinata a fini della formazione di valanghe. Assieme, gli effetti della forma dei cristalli, della brinata e della fratturazione dei cristalli possono comunque contribuire all' instabilità del manto nevoso fresco e ostacolare il processo di agglomerazione con gli strati più vecchi. Tuttavia, considerata l'elevata combinazione di variabili che possono creare neve instabile, non esistono formule semplici. Lo studioso del manto nevoso deve quindi concentrarsi sugli effetti integrati di queste variabili e la loro relazione con i meccanismi di formazione delle valanghe, piuttosto che esaminare, uno per volta, ciascuno di questi fattori secondari.
BRINA DI SUPERFICIE: CONDIZIONI DI FORMAZIONE E CRESCITA
La brina di superficie viene considerata l'equivalente solido della rugiada; essa forma strati di neve molto fragili e sottili, importanti per la formazione di valanghe. La brina si forma quando la tensione del vapore acqueo nell'aria supera la tensione di vapore dei grani di neve sulla superficie.
Di solito si sviluppa rapidamente, sempre che vi siano due condizioni:
1) nell'aria deve essere presente una quantità sufficiente di vapore acqueo;
2) un elevato gradiente termico (inversione) deve caratterizzare il manto nevoso, che viene raffreddato al di sotto del punto di congelamento dell'acqua.
Solitamente la brina di superficie si forma nelle notti fredde e serene, con condizioni di aria calma o pressoché calma. Alcuni studiosi sono propensi a ritenere che in prossimità della superficie sia necessario un leggero movimento dell'aria per riempire la quantità di vapore depositato. Tuttavia, se il moto dell'aria è troppo rapido (cioè turbolento), l'aria vicino alla superficie si mescola, e questo può compromettere l'andamento del gradiente termico dell'aria vicino alla superficie. Durante la formazione di brina di superficie i gradienti termici (inversioni) variano solitamente da 100° a 300°C/m. Di solito l'umidità relativa dell'aria è elevata (> 70%) anche se si può avere formazione di brina di superficie con valori più bassi nel caso in cui la superficie ceda calore per irraggiamento.
La brina di superficie può avere molte forme a seconda della temperatura. Dal momento che si sviluppa dalla fase vapore, la forma dei cristalli dipende dalla temperatura , come confermato dalle misurazioni sul campo.
Un cristallo di brina di superficie ingrandito
Le condizioni meteorologiche favorevoli per la formazione della brina di superficie devono soddisfare le due condizioni precedentemente descritte. In presenza di un fronte d'aria fredda in una giornata nuvolosa, con una successiva notte serena, si avrà la probabile formazione di brina di superficie. È stato inoltre osservato che anche una modesta presenza di nubi, ad esempio cirri, può interferire con il fenomeno di raffreddamento per irraggiamento a onde lunghe sulla superficie per ostacolare la crescita della brina. Un'altra situazione comune relativa alla formazione di brina si ha quando nuvole surraffreddate presenti a livello di terreno (nebbia) lasciano il posto a cielo sereno con basso tenore d'umidità. Questo assicura un forte raffreddamento sulla superficie. È anche stato notato che la formazione di brina di superficie viene inibita (o ostacolata) nelle zone concave della superficie del manto.
L'irraggiamento a onda lunga proveniente dalle pareti laterali di una concavità va a colpire la parete opposta invece di diffondersi nello spazio, e quindi il meccanismo di raffreddamento è meno efficace. La brina di superficie può formarsi (e viene osservata) in qualsiasi tipo di clima, sempre che esistano le condizioni necessarie per la sua crescita. Essendo molto fragile, può essere facilmente distrutta. Tra gli agenti distruttivi vi sono la sublimazione, il vento, i cicli di fusione?rigelo e la pioggia gelata. Talvolta il vento spazza via la brina di superficie al di sopra del limite boschivo, rendendo le aree più riparate sottovento più pericolose di quelle vicine alle cime delle montagne. La brina di superficie sepolta da nuove nevicate è particolarmente incline a creare rotture che si propagano. Diversi incidenti mortali si sono verificati allorché gli sciatori su un terreno piano hanno provocato fratture primarie nello strato di brina di superficie, creando le condizioni per il distacco a distanza di lastroni. Questo esempio dimostra che anche se le valanghe di solito non si formano con pendenze inferiori a 25° , questo non significa che sia sempre del tutto sicuro muoversi su pendii meno ripidi. La brina di superficie può guadagnare resistenza mediante la formazione di legami con gli strati contigui
. Il persistere dell'instabilità dipende soprattutto dallo spessore dello strato di brina, che può variare da meno di 1 mm a diversi centimetri. Gli strati più spessi possono durare per interi mesi quando sono ricoperti da altra neve. L'instabilità è anche favorita dal fatto che i cristalli hanno grandi dimensioni e hanno una forma diversa dai cristalli contigui. Le tipiche dimensioni variano da meno di 1 mm a più di 1 cm di lunghezza.
Piccoli cristalli di brina di superficie
Cristalli di brina di superficie più grandi
IL METAMORFISMO DELLA NEVE
TEMPERATURE NEL MANTO NEVOSO E GRADIENTI TERMICI
Il manto nevoso è limitato dall'atmosfera e dalla superficie del terreno sottostante. Per le montagne più alte vi sono dei casi in cui il limite sottostante può essere costituito da nevi perenni o anche ghiaccio. Di solito il calore accumulatosi nel terreno in seguito al riscaldamento estivo (il più importante) e il calore geotermico proveniente dal centro della terra si combinano e riscaldano lo strato di base fino a 0°C (o vicino a 0°C). D'inverno la superficie superiore del manto nevoso è soggetta ad aria fredda, ma le temperature della neve sulla superficie variano di molto in funzione dei cicli di riscaldamento e raffreddamento che si verificano di giorno e di notte (escursioni diurne) e delle condizioni sinottiche prevalenti. Solitamente questi effetti si associano per produrre una superficie che è mediamente più fredda degli strati più interni, che rimangono isolati dalle escursioni termiche diurne
L'effetto a lungo termine è un gradiente termico nel manto nevoso, che è una grandezza vettoriale caratterizzata sia da dimensione che da direzione. La dimensione del gradiente termico viene definita come variazione termica deltaT divisa per la distanza deltaX lungo la quale la temperatura varia. Per convenzione la direzione del gradiente termico segue la direzione dell'incremento di temperatura (di solito verso il basso ma a volte lateralmente nel manto nevoso). Nell'unità di misurazione metrica il gradiente termico viene espresso in gradi centigradi/metro. Quando il gradiente è ovunque pari a 0°C/m, il manto nevoso è isotermico.
Questo si verifica soltanto con una temperatura uniforme di 0°C, il che implica un manto uniformemente bagnato. In generale le temperature e i gradienti termici nel manto nevoso variano in funzione del regime climatico. In un clima marittimo le temperature sono solitamente miti e il manto presenta spessori piuttosto elevati. Questi due fattori intervengono per creare bassi gradienti termici ed elevate temperature della neve. Nei climi continentali il manto nevoso poco profondo e le basse temperature creano forti gradienti termici e temperature della neve molto basse. In queste due situazioni i cristalli che si formano sono diversi tra di loro, e questo comporta notevoli effetti sulla natura generale e i tempi di formazione delle valanghe. In generale il manto nevoso con clima marittimo è caratterizzato da neve relativamente stabile e vi sono maggiori probabilità di avere valanghe di neve fresca. Il manto con clima continentale è di solito piuttosto fragile, e spesso negli strati di neve più vecchia presenta livelli deboli, i quali sono soggetti a rottura quando vengono ricoperti da altra neve. Il metamorfismo della neve (variazioni di forma dovute al calore e alla pressione) spiega dunque la differenza dei tipi di valanghe in questi climi. Occorre ricordare che le forme dei cristalli si sviluppano in base a processi fisici (non caratteristici del clima) e quindi in qualsiasi catena montuosa si può trovare qualsiasi forma di cristallo.
SCOMPARSA DELLE RAMIFICAZIONI: VARIAZIONI INIZIALI NELLA NEVE FRESCA
Una volta depositati, i cristalli di neve iniziano subito a trasformarsi. In alcuni casi questi cambiamenti iniziali sono la causa diretta del distacco di piccole valanghe. Le mutazioni di forma inoltre determinano il futuro grado di resistenza della neve. I cristalli di neve fresca si sviluppano in un ambiente molto più saturo di vapore acqueo di quello che si riscontra una volta che essi si sono depositati. I valori tipici di supersaturazione nell'atmosfera possono essere piuttosto elevati, mentre all'interno del manto nevoso essi sono solitamente inferiori all'1%. I cristalli di neve fresca sono instabili e quindi avrebbero bisogno dell'ambiente supersaturo dal quale provengono per continuare a crescere nella stessa forma o conservarla. In genere, una volta terminata la crescita atmosferica, un'elevata percentuale del rapporto tra superficie e volume dei cristalli è instabile. Nel manto nevoso i cristalli di neve con il maggiore rapporto superficie/volume (come le dendriti) sono i più instabili e cambiano forma più rapidamente. Teoricamente il minimo rapporto tra superficie e volume dà come risultato una sfera e quindi le particelle di neve pallottolare di forma arrotondata sono molto stabili (durano per un lungo periodo di tempo).
La ragione fisica per cui le intricate ramificazioni dei cristalli di neve spariscono rapidamente sta nell'elevata tensione di vapore presente sulle ramificazioni con curvature molto evidenziate (la tensione varia inversamente al raggio di curvatura della superficie). La tensione di vapore è più forte su una superficie convessa che non su una concava. Quindi le ramificazioni molto curve favoriscono il fenomeno di sublimazione attraverso la perdita di molecole dalla superficie del ghiaccio nell'aria circostante.
La scomparsa iniziale delle ramificazioni per effetto della curvatura non dura a lungo. Un concetto chiave relativo ai cambiamenti di forma della neve asciutta viene illustrato mettendo a confronto le variazioni di tensione di vapore a causa della curvatura con le differenze di tensione nei pori al variare della temperatura (per es. in seguito all'applicazione di un gradiente termico.
Le differenze di tensione dovute agli effetti di curvatura sono minime. Ad esempio, a °C la tensione legata alla curvatura aumenta dello 0,03% circa per ramificazioni di raggio di 10-3 mm rispetto a quella di una superficie piana, e l'incremento è di circa lo 0,1% a -15°C. Al contrario, la tensione di vapore di saturazione (rispetto al ghiaccio) nei pori di un manto nevoso cresce di oltre il 300% con l'incremento della temperatura dell'aria da -15°C a 0°C.
Questo spiega perché sono più le differenze di temperatura nella neve asciutta, legate ai gradienti termici del manto nevoso, a generare il meccanismo del metamorfismo della neve, che non gli effetti di curvatura. Sia la curvatura dei grani che la pressione di sovraccarico dovuta al peso degli strati di neve sovrapposti influiscono sul metamorfismo della neve asciutta in quanto sono sempre fattori agenti .
Le aree più superficiali del manto nevoso sono quelle in cui il gradiente termico è di solito il più alto.
In generale il metamorfismo è influenzato sia dal gradiente di tensione di vapore (legato al gradiente termico del manto nevoso) presente nei pori, sia dagli effetti della curvatura. Tuttavia, il gradiente di solito induce metamorfismo nel manto nevoso, a meno che il raggio di curvatura sulle superfici delle ramificazioni sia inferiore a circa 10-2 mm. Dati sperimentali dimostrano che il tempo impiegato da un cristallo dendritico per decomporsi in una forma arrotondata in laboratorio con condizioni di temperatura costanti è di 10 volte maggiore che non sul campo, dove vi è sempre un gradiente termico
Gli effetti della curvatura sono importanti per il fatto che i punti di ramificazione sono aree preferenziali (alta pressione) per il verificarsi di sublimazione anche in presenza di gradiente termico. Questo processo serve dunque a spiegare l'arrotondamento di forme complesse con un elevato rapporto superficie/volume. In genere però la temperatura e il gradiente termico determinano la velocità di metamorfismo della neve asciutta, sia della neve fresca che della neve che si trova in profondità nel manto nevoso, dopo che si è verificato l'arrotondamento iniziale.
Una volta sparite le ramificazioni, il risultato è una iniziale diminuzione della dimensione media delle particelle. Questo processo è stato chiamato metamorfismo distruttivo. Nel manto nevoso però la dimensione inizia ad aumentare dopo che sono scomparse le ramificazioni. Il fenomeno della sublimazione genera vapore acqueo che incrementa la tensione di vapore nelle vicinanze delle piccole particelle o delle ramificazioni. Una volta che il vapore acqueo si sposta (a causa del gradiente termico del manto nevoso), esso tende a condensarsi in particelle più grandi dove la tensione del vapore acqueo o la densità di vapore sono più basse. Questa sublimazione (meccanismo di condensazione) favorisce la crescita di particelle più grandi a scapito di quelle più piccole. A causa di ciò (e forse del flusso di calore all'interno della struttura), la dimensione media delle particelle diminuisce lentamente in presenza di diverse categorie di dimensioni.
tratto da : http://www.scialp.it/